M I C H E L E T A Z Z A R I

#risvolti

43° 46′ 17″ N, 11° 15′ 15″ E

Una conchiglia. Smarrita come ha sempre desiderato.

Sin dal primo formarsi del suo mollusco. Danzare dentro la danza selvatica del mare confuso di gioia.

Una conchiglia nel bel mezzo di una dozzina di conchiglie. Una famiglia improvvisata. Come le famiglie che si formano all’improvviso. Nel nome della beltà che l’improvviso sa forgiare.

Michele ed il violoncello.

Ma poi noi ed un violoncello. Sapendo che la sinuosità non si può certo far vivere per tratto di disegno.

La sinuosità abita la natura nelle ore in cui tutti dormono oppure distrattamente attraversano i luoghi senza accorgersene.

Michele in una certa sera in un certo teatro a forma di conchiglia.

Michele è una conchiglia e quel violoncello è il suo timone di disorientamento.

Lo osservi suonare e si fa vela.

Lo ascolti aggirare lo sguardo per celare lo stordimento così voluto. Espresso con ogni vibrante membra di un corpo inadatto alla scena. Eppure così prossimo sempre ad ogni vibrazione a disciogliersi nel suono e nel suono a ricomporsi dilaniando la tenace prova di decifrazione di chi ascolta.

E non capisce. Chi ascolta non capisce mai. Troppo preso a stringere invano nel pugno l’incendio che ne scaturisce.

Così accade che si naufraga nell’osservazione a tutte orecchie di quella conchiglia frammista a salsedine e sabbia finissima tra quella dozzina di conchiglie ciondolanti nei flutti.

E paion legni. Legni di naturalissima fattura. Si abbandoni ogni vanità di conoscenza del fattore. E’ molteplice fino alla innumerabilità delle fattezze. Anche lo spartito indegno indossa la livrea.

Nella stessa guisa con cui John McEnroe recitava quel diritto anomalo che riappacificava con l’imponderabilità della grazia libera dai lacciuoli che l’intellettualismo sa con volgare abbondanza affibbiare alla espressione artistica.

Nella stessa guisa con cui il liutaio chiacchiera in discreta eccitazione con il vivo albero che lo invita a trarre linee curve e misurate contorsioni.

Una conchiglia.

Smarrita come ha sempre desiderato.

Ebbra della geografia che appare tutt’a un tratto negli occhi quando capisci che senti la contemporaneità del viaggio e della scoperta.

Porta nome Michele Tazzari.

Quella sera in un certo teatro a forma di conchiglia era una conchiglia dentro quella sporca dozzina di smarrite conchiglie. Guidate da una sporca dozzina di violoncelli pronti a far da timoni di disorientamento. Finimmo tutti quanti in lacrime nel corpo e nel tremore che segue ogni portentoso evento naturale.

In fondo, di grazia non si può che vivere.

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