Nathan e Jean, in Cima alla Salita (A Raffaele Tiscar)
Mi diede nome Nathan, in uno schiocco di risata così ruvida, così gioiosa
Anche in quel caso era la premessa di un confronto, ad armi pari, senza guantoni. Con lui mi confrontavo proprio come io fossi Nathan e come lui fosse Jean.
Niente di immaginifico, tutt’altro. Palpabile sostanza di vita. Vita che si fa mare in moto ondoso in cui immergere anima e cervello come fossero un unico organismo, battente ed equidistante.
Bisogna salire e salire ancora negli spazi che si spettinano delle ultime resistenti conifere per ritrovare quella svuotante pienezza che provi quando, con anima e cervello insieme, ti confronti con uno come Jean, nel tempo mortale conosciuto come Lele.
E non è solo lo sperdersi dello sguardo. E’ lo sperdersi che, senza alcun preavviso, diventa voragine rovesciata che strappa da dentro ogni umore e lo sparge nell’aria e quell’aria diventa nuova capacità di respiro.
Nelle chiacchiere a confronto tra Nathan, me sperduto nel dubbio costante, e Jean, lui centrato in mezzo all’universo con tutta la forza del suo corpo albero, c’era sempre, ogni volta, nuova capacità di respiro.
Camminiamo dinoccolati, allo stesso modo. Io ancora qui, a cercare altitudine del dubbio.
Lui dove sapeva, a dare testimonianza della sua verità.